Il settore dell'autotrasporto, si sa, è uno dei "canarini nella miniera" più affidabili per gli appassionati di macroeconomia.

Pubblicati lunedì sera, i risultati trimestrali del trasportatore canadese TFI — ex Transforce — aggiungono un altro segnale preoccupante. E ciò pur tenendo in conto il contesto della normalizzazione delle tariffe prevista dalla fine della pandemia.

Nei primi nove mesi dell'anno, il fatturato è sceso del 19%, mentre la leva operativa e i costi del carburante hanno fatto scendere l'utile operativo del 40%. La generazione di cassa è stata mantenuta, ma solo grazie a una forte riduzione del fabbisogno di capitale circolante.

La batosta più grave è arrivata negli Stati Uniti, dove i ricavi sono scesi di 1,1 miliardi di dollari nel periodo. Al contrario, l'attività in Canada — che rappresenta più di un terzo del fatturato consolidato — è rimasta totalmente stabile.

Il gruppo guidato dall'eccellente Alain Bédard rimane aggressivo — e non ci aspetteremmo nulla di meno da lui — sul fronte delle acquisizioni: ha dedicato ogni dollaro del free cash flow generato nei primi nove mesi dell'anno in acquisizioni, ovvero 618 milioni di dollari americani, comprese le cessioni di asset.

Finora, TFI si è dimostrato un'acquirente eccezionalmente efficiente. Il gruppo ha scommesso molto sull'acquisizione di UPS Freight — specializzata nel difficile segmento "less-than-truckload" (LTL) — nel bel mezzo di una pandemia. Immediatamente ristrutturato, rappresenta ora il principale contributo all'utile operativo consolidato.

A quindici volte l'utile operativo, la valutazione di TFI è tornata senza sorprese a radicarsi  intorno alla sua media storica. Se il rischio di recessione dovesse essere confermato, un ritorno a un minimo di dieci o undici volte l'utile operativo sembrerebbe più che probabile.

Un tale livello rappresenterebbe senza dubbio un punto di ingresso molto interessante.