WASHINGTON (awp/ats/ans) - L'oro sfonda il muro dei 2200 dollari (1960 franchi) l'oncia, con un doppio segnale per l'economia globale: da una parte la convinzione - rafforzata dalle parole della Federal Reserve (Fed) di ieri secondo cui la banca centrale statunitense potrebbe essere costretta ad accettare un'inflazione superiore al suo obiettivo. Dall'altra l'incertezza elevatissima di in uno scenario geopolitico (ed economico) pericoloso che innesca la corsa al bene rifugio per eccellenza.

I più catastrofisti sussurrano che la corsa dell'oro - balzato oggi fino a 2225 dollari, quasi il doppio di dieci anni fa - nascerebbe dai timori che i 34'000 miliardi di dollari di debito a stelle e strisce costringano la Fed a disinnescare il "buco" nel bilancio federale ricorrendo a più inflazione, che ridurrebbe il rapporto debito/prodotto interno lordo (Pil). Da questo scenario, con l'esigenza di difendere valore dall'inflazione, verrebbe la corsa all'oro, che spesso sembra andare a braccetto col bitcoin e oggi ha trascinato con sé palladio, platino, argento.

Mohamed el-Erian, ieri "guru" delle obbligazioni a capo dell'azienda statunitense di gestione globale degli investimenti Pimco e oggi presidente del Queen's College a Cambridge (Gran Bretagna), più concretamente la spiega col fatto che la Fed, "la banca centrale più potente del mondo, sembra intenzionata a tollerare un'inflazione più alta, più a lungo".

Questa la lettura - anche politica - dei tre tagli dei tassi confermati dalla Fed per il 2024, l'anno delle elezioni negli Usa, nonostante un'inflazione ostinata (3,2% a febbraio) e un'economia che non accenna a raffreddarsi. Il mercato del lavoro oggi si è confermato in piena corsa, con le richieste di sussidio di disoccupazione in calo a 210'000 contro attese per un rialzo.

Uno scenario - quello delle banche centrali in assetto espansivo - che piace non solo agli investitori del metallo giallo, ma anche allo spread (oggi a 126) e alle borse: Wall Street, Francoforte e Parigi chiudono aggiornando i record storici, Milano si accontenta dei massimi dal 2008. La corsa del metallo giallo è una buona notizia anche per le banche centrali che lo usano come riserve, prime fra tutte la Federal Reserve, seguita dalla banca centrale tedesca e da quella italiana.

Se la Fed si appresta a tagliare con la Banca centrale europea (Bce) a giugno, la sensazione che il ciclo monetario restrittivo è finito è definitivamente confermata oggi dalla sorpresa della Confederazione. La Banca nazionale svizzera, contrariamente alle attese, ha anticipato le altre grandi banche centrali abbassando i tassi all'1,50%, quando quasi tutti prevedevano restassero all'1,75%.

Anche la Bank of England, che come atteso ha mantenuto i tassi invariati al 5,25%, ha dato segnali "dovish", da colomba: "Non siamo ancora in condizione di poter tagliare i tassi d'interesse, ma le cose si stanno muovendo nella giusta direzione".

Se la banca centrale del Giappone, ieri, è stata l'ultima grande banca centrale a chiudere con tassi negativi mettendo fine a un'era di espansione monetaria estrema, le banche centrali continuano a mantenersi estremamente prudenti nell'uscita dalle misure d'emergenza prese dopo la grande crisi finanziaria: quello dei titoli messi in portafoglio che hanno gonfiato il loro bilancio.