(Reuters) - La possibilità che gli Usa possano introdurre un divieto sulle importazioni di greggio russo ha innescato un balzo nei prezzi del Brent a quasi 140 dollari il barile, il livello più alto dal 2008.

La Russia è il principale esportatore al mondo di greggio e di prodotti petroliferi con circa 7 milioni di barili al giorno ovvero il 7% della produzione mondiale. Un tale divieto non avrebbe precedenti e potrebbe provocare uno shock inflazionistico.

Ecco alcune delle possibili conseguenze di un tale provvedimento:

PREZZI RECORD

I governi occidentali non hanno colpito direttamente con le sanzioni il settore energetico russo ma alcuni clienti hanno già cominciato a evitarlo per non dover fare i conti successivamente con problemi di tipo legale.

Jp Morgan prevede che il prezzo del greggio possa arrampicarsi fino alla soglia record di 185 dollari il barile entro la fine del 2022 se i problemi alle esportazioni russe durassero così tanto sebbene, in linea con gli analisti interpellati da Reuters, la banca si aspetti un prezzo medio per l'anno al di sotto dei 100 dollari.

L'ultima volta in cui i prezzi del greggio hanno superato la soglia dei 100 dollari è stato nel 2014 e i livelli raggiunti ieri non erano lontani dal picco di oltre 147 dollari visto a luglio 2008. Soltanto due anni fa, il calo della domanda provocato dal Covid ha spinto il costo del petrolio West Texas al di sotto di 0 dollari.

"Una guerra prolungata che provochi diffusi problemi alle forniture di materie prime potrebbe vedere il Brent oltre la soglia di 150 dollari", ragiona Giovanni Staunovo, analista per le materie prime di Ubs.

SHOCK INFLAZIONE

Mentre i prezzi del gas naturale hanno toccato i massimi storici, il balzo dei prezzi dell'energia dovrebbe spingere l'inflazione oltre il 7% su entrambe le sponde dell'Atlantico nei prossimi mesi.

In generale, a ogni aumento del 10% dei prezzi del greggio corrisponde un incremento dell'inflazione della zona euro di 0,1-0,2 punti percentuali. Dal primo gennaio, il Brent è salito di circa l'80% in euro. Negli Usa, a ogni aumento di 10 dollari il barile corrisponde un incremento dell'inflazione di 0,2 punti percentuali.

La Russia inoltre è anche il principale esportatore al mondo di cereali e fertilizzanti e uno dei principali produttori di palladio, nichel, carbone e acciaio. Il tentativo di escludere la sua economia dagli scambi colpirebbe molti settori e andrebbe ad accrescere i timori per la sicurezza alimentare mondiale.

COLPO PER LA CRESCITA

Inoltre, un divieto sulle importazioni di gas russo rallenterebbe ulteriormente la ripresa mondiale che si sta concretizzando dopo due anni di pandemia.

I calcoli preliminari della Bce mostrano che la guerra potrebbe ridurre la crescita della zona euro di 0,3-0,4 punti percentuali quest'anno in uno scenario base e di 1 punto percentuale in quello di uno shock grave.

Nei prossimi mesi, c'è il concreto rischio di stagflazione, o di una crescita minima e, contemporaneamente, di un'inflazione alle stelle. Tuttavia la crescita della zona euro dovrebbe restare solida nonostante il prezzo delle materie prime.

Negli Usa, la Fed stima che a ogni aumento di 10 dollari al barile nei prezzi del greggio corrisponda un taglio della crescita di 0,1 punti percentuali, anche se altri enti previsori vedono un impatto minore.

In Russia, i danni saranno probabilmente vasti e immediati: Jp Morgan ritiene che l'economia del Paese si contrarrà del 12,5%.

...E PER LE BANCHE CENTRALI

Per la Fed, l'impatto dell'inflazione si è già rivelato troppo forte e il governatore Jerome Powell ha detto che occorre alzare i tassi di interesse questo mese.

Per la Bce, è meno necessario un intervento urgente.

"Nessuno può davvero aspettarsi che la Bce inizi un percorso di normalizzazione della politica monetaria in un momento di tal incertezza", dice l'economista di Ing Carsten Brzeski.

ALTERNATIVE?

Con un ritorno della richiesta di carburanti fossili dopo la pandemia e l'offerta ancora limitata, ci si troverà sotto pressione per potenziare l'offerta nonostante l'impegno a sostenere l'energia verde.

"Nel breve termine ci sarà una riduzione delle iniziative green nel tentativo di far invertire la rotta della contrazione vista nelle forniture di carburanti fossili", dice Susannah Streeter, senior investment and markets analyst di Hargreaves Lansdown.

Intanto i colloqui per sganciare l'Iran dalle sanzioni internazionali sono già a buon punto e i prezzi del greggio alle stelle sono destinati a sostenere gli investimenti nello scisto Usa.

LA VISIONE SUL LUNGO PERIODO

Le frizioni tra Russia e Occidente sono destinate a rafforzare le relazioni di Mosca con Pechino ma le infrastrutture energetiche tra i due Paesi sono scarse.

Le rinnovabili potrebbero ricevere una spinta nel medio e lungo termine mentre i Paesi cercano di rendersi indipendenti dall'energia russa.

"Dovremmo dirottare i sussidi che ora utilizziamo per gas naturale, carbone e petrolio su energie rinnovabili, mobilità elettrica, infrastrutture per la ricarica di veicoli elettrici, pompe di calore e miglioramento dell'efficienza energetica degli edifici", spiega Wolfgang Ketter, professore alla Rotterdam School of Management.

"Qualsiasi cosa che possa portare alla sicurezza energetica di lungo termine riducendo la dipendenza dai carburanti fossili".

(Versione italiana Sara Rossi, editing Sabina Suzzi)