MILANO (MF-DJ)--La raffineria russa di Priolo si è messa in regola con l'embargo del G7 contro il petrolio russo: da giorni sta alimentando l'impianto Isab con greggio comprato sui mercati internazionali. La novità è resa possibile dal contratto di finanziamento da poco siglato da Litasco, controllata svizzera di Lukoil, e un pugno di grandi banche asiatiche. Secondo fonti di mercato tra cassa sborsata da Lukoil e asset dati in protezione dei finanziamenti sono in arrivo circa 3 miliardi di dollari. Molto più del miliardo chiesto per mesi a Sace e alle banche italiane Intesa Sanpaolo, Unicredit, Banco Bpm, Mps. Ma i creditori italiani, timorosi di future sanzioni - Lukoil, gruppo privato, è finora esclusa dalle misure - non sono mai parsi determinati a chiudere il dossier.

Ora i soldi li sborsano i russi e le loro banche in Asia, tornando a comprare petrolio all'estero (servono 330 mila barili al giorno al polo siracusano) con ordini ogni tre settimane, scrive La Repubblica. Ma qualcosa cambierà, perché negli ultimi mesi a Priolo arrivava solo greggio russo: che a Lukoil costava pochi dollari mentre lo caricava ai prezzi di mercato, intorno ai 50 dollari a barile. Da qui in avanti, invece, solo una minima parte di greggio sarà greggio che Lukoil deriva da propri giacimenti al di fuori dei confini russi e non sottoposto a embargo.

Questa discontinuità influirà sui prezzi del negoziato, che ha visto entrare nella data room su Isab una manciata di nomi, tra cui il fondo Usa Crossbridge alleato con i trader Vitol e Trafigura, gli operatori indiani, e la cordata italo-qatarina con l'uomo d'affari Ghanim Bin Saad Al Saad, su cui però ora si staglia la cattiva luce delle mazzette qatarine all'Europarlamento. Mentre l'Eni, che da mesi lavora col governo al dossier, pare disposta a scendere in campo solo se ogni negoziato sfumasse, per aiutare con personale distaccato e prodotti della sua rete un eventuale commissario pubblico a mandare avanti l'impianto.

La valutazione su cui si tratta è di circa 1,5 miliardi: ma sarà più importante il prezzo dei futuri investimenti per rendere l'impianto più sostenibile in termini ambientali, e stimati in 3-5 miliardi dietro le quinte. Chiaro che il governo se ne dovrà intestare una quota, e anche per questo è uno spettatore interessato sul polo, che dà lavoro a 10 mila siciliani con l'indotto, e riguarda un'attività tra le più strategiche oggi: tanto che il decreto varato il primo dicembre per scongiurarne la chiusura dopo l'embargo è scritto nella cornice blindata del "golden power prescrittivo". Il ministro di imprese e made in Italy, Adolfo Urso, parlando ieri alla stampa estera, ha chiarito che il governo non "tifa" nessuna delle cordate, né entra nel merito della trattativa: ma che tutti i pretendenti seri dovranno rispettare i paletti dei poteri speciali (peraltro quelli su occupazione e sostenibilità ambientale competono proprio al Mimint).

Ma più che la vendita, che sembra andare per le lunghe, sul dossier ci sono indizi forti che i russi, se in pubblico drammatizzavano i temi per evitare effetti pesanti dall'embargo, in privato si siano organizzati in anticipo per non farsi sorprendere da una vendita "forzata". In autunno, riempiendo i serbatoi di greggio siciliani per avere qualche mese di autonomia in più. E ora con l'accordo finanziario che assicura le forniture di olio non russo. Intanto il 2022 sta per finire, di vendita si parla a 2023 inoltrato.

cos


(END) Dow Jones Newswires

December 20, 2022 04:24 ET (09:24 GMT)