MILANO (MF-DJ)--In poco più di due anni il mondo è cambiato. Da dibattiti senza fine per un decimale in più di deficit/pil si è passati a oltre 200 miliardi di euro di aiuti europei. Ma in questa rivoluzione una cosa è rimasta immutata: la necessità di comporre bene il risiko bancario, partendo dal Monte dei Paschi. Con un velo di ironia da persona gentile e colta qual è, Giovanni Tria, professore e già ministro dell'Economia nel Conte I, commenta: «Sì, a pensarci bene è una cosa che fa sorridere tutte quelle battaglie sul 2,4 o 2,24% di qualche tempo fa. Ma tanto anche prima del Covid le regole comunitarie sul budget erano sbagliate...». Mentre su altre cose c'è da riflettere e molto. Ad esempio il ruolo delle aggregazioni bancarie, motore fondamentale per il rilancio dell'Italia ma anche quello dello Stato, che dovrà ammodernarsi e diventare un vero attore del cambiamento piuttosto che intervenire in situazioni che fanno scappare gli investitori come accaduto in Alitalia, Ilva e Autostrade. Tria interviene così a tutto campo nel dibattito lanciato da MF-Milano Finanza sul risiko creditizio e dice la sua sulla situazione attuale. «Mps? Credo che si debba ottemperare alle richieste di Bruxelles di uscita pubblica dal capitale ma anche cercare un polo che possa inglobare il Monte senza danni», questa la sua visione e non da oggi.

Domanda. Professor Tria, lei è stato ministro dell'Economia quando il governo italiano ha avviato la procedura di uscita dal capitale del Monte dei Paschi di Siena. Come giudica la situazione oggi del sistema creditizio nazionale alla luce dell'avvio di nuove aggregazioni per creare un terzo polo dopo quello di Intesa e Unicredit?

Risposta. Già due anni fa l'idea che si inseguiva e che il governo di cui ho fatto parte vedeva con favore era quella di promuovere delle aggregazioni bancarie, ovviamente con il dovuto rispetto a un settore privato. Allora una prima via sembrava quella che avrebbe condotto a un'aggregazione tra Bpm e Ubi, poi le cose sono andate diversamente. Ma già allora c'era il tema di avviare verso un percorso privato Mps, senza danni.

Domanda. In che senso senza danni?

Risposta. Nel senso che c'era l'esigenza di promuovere un polo bancario che fosse in grado di assorbire bene Mps. Questa finalità rientrava quindi in un percorso di aggregazioni bancarie necessarie in un contesto in cui il sistema creditizio italiano veniva giudicato comunque sano e forte. Io ero dell'idea, parlo al passato perché per evidenti motivi oggi non ricopro quella carica, che sul Monte dovesse essere rispettato l'impegno preso con la Commissione Europea di uscita dal capitale da parte dello Stato.

D. E oggi come procederebbe?

R. Come ho detto, posso dire quello che ho fatto da ministro dell'Economia. Come si possa fare oggi non lo so, certo se ci fosse un'aggregazione propedeutica sarebbe meglio. Io credo che sia importante anche incentivare la parte di investimenti privati in questo settore. Di nomi di possibili soggetti attori nel risiko non parlo perché non ho elementi.

D. A partire dal governo Conte I, di cui lei ha fatto parte, si è invece parlato molto della necessità di avere una banca pubblica e oggi di fatto sono tali Mps e Banca Popolare di Bari. Ma c'è davvero l'esigenza di una banca di sistema nazionale a controllo pubblico?

R. Mps e Popolare di Bari sono partite che non dovevano essere delle banche pubbliche. Io personalmente non ho nulla contro la banca pubblica ma tutto dipende da come opera, che finalità persegue. O è una banca forte, vera, rispettosa del mercato, oppure non serve al Paese. La mia impressione è che si volesse allora una banca pubblica per avere più potere e non per una logica di sistema.

D. La Cassa Depositi e Prestiti ha svolto un ruolo non di banca pubblica ma di gestore di partite statali molto importanti.

R. Credo che ci sia stata una gestione un po' troppo disinvolta di Cdp.

D. Cosa intende?

R. Non mi riferisco esclusivamente a Cdp. Tra Alitalia, Ilva e Autostrade abbiamo avuto una prova di una cattiva gestione di un intervento pubblico. Ma queste cose con Draghi e spero anche con i prossimi governi, non le vedremo più.

D. Perché?

R. Perché spero che ci sarà più rispetto del mercato, sono proprio queste cose che insospettiscono gli investitori: operazioni del genere da me descritte non devono essere fatte più.

D. È contrario all'intervento dello Stato?

R. Non dico questo. Lo Stato deve intervenire dove è strettamente necessario ma deve farlo con il rispetto che si deve al mercato. E quando lo Stato interviene in modo scomposto il suo intervento allontana gli investitori.

D. Come si sono comportate invece le banche nella gestione della crisi economica dovuta alla pandemia?

R. Le banche hanno avuto un ruolo importante nel gestire la crisi economica, facilitato dal fatto che hanno avuto alle spalle le garanzie statali e l'intervento della Bce. Bisogna vedere cosa accadrà d'ora in poi con il ritorno alla normalità. Bisogna vedere se con la ripresa, che credo avverrà, ci sarà un'impennata o meno delle richieste di credito e dall'altra parta cosa accadrà invece ai crediti inesigibili garantiti dallo Stato. Questa è stata una strada intrapresa per necessità ma rischiosa.

D. Come vede la situazione invece delle imprese?

R. Ci sono imprese che falliranno e altre che si trasformeranno sotto la spinta sia della transizione green che di quella digitale. Ma alla fine si dovrà vedere se la capacità produttiva italiana aumenterà. Sono delle grandi sfide che erano già in atto prima della pandemia. Ci troveremo di fronte a una nuova globalizzazione, da quella del commercio a quella della commercializzazione di servizi.

D. E in questo quadro che ruolo avrà il premier Draghi?

R. Un ruolo fondamentale. Non solo per la sua grande competenza ma anche perché svolge un compito fondamentale di garanzia sui mercati e sulle nuove regole europee, sarà un leader cruciale per tutta l'unione, è l'unico vero leader europeo, è la personalità giusta per gestire la grande transizione. E noi dobbiamo ricordarci quello che si diceva dell'Italia: una piccola economia ma «aperta».

D. Cosa pensa del Next Generation Eu? Sembra passato un secolo da quando lei doveva trattare con Bruxelles per un decimale in più: 2,4 o 2,24%...

R. È vero, è una cosa che ora fa sorridere ma già allora il sistema dei Trattati europei e i vincoli di bilancio non funzionavano perché le autorità comunitarie permettevano interventi di bilancio nazionali solo quando c'era il segno meno davanti al pil, solo che noi economisti sappiamo che a quel punto è troppo tardi. Se pensa che io ho lasciato il rapporto deficit/pil all'1,6% in una situazione in cui l'economia non cresceva e prima della pandemia.

D. Non è importante l'avvio del debito comune con il Recovery Fund?

R. Lo è e darà la sua spinta perché vedo tutti gli indicatori economici volgere al bello ma il problema è capire quanto durerà questa ripresa. Ma non scordiamo però che il Next generation Eu in parte è debito nazionale e dunque altro debito.

D. Quindi?

R. Quindi serve soprattutto arrivare anche a un bilancio federale, come ha suggerito Mario Draghi, per dare maggiore forza alla moneta unica e all'Unione che continua a non avere un governo ma solo una banca centrale. E sarebbe importante, come sostengo da tempo, lo scomputo della spesa per investimenti dal calcolo del deficit, magari con emissioni speciali che vengano poi monetizzate dalla Bce.

D. L'Italia e l'Europa usciranno dalla crisi?

R. Io credo che ci sia fondamentalmente un clima di rinnovata fiducia e questa è la cosa più importante.

D. Come sono importanti le riforme per l'Italia: quali saranno tra Stato, imprese e banche i soggetti chiave della ripresa?

R. Sono tutti importanti ma credo che se dovessi indicarne solo uno direi lo Stato. Il suo ruolo nel rilancio dell'Italia sarà cruciale perché il suo buon funzionamento sarà fondamentale. E di questo se ne gioveranno tutti: cittadini, banche e imprese.

fch

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June 14, 2021 02:19 ET (06:19 GMT)