ROMA (MF-DJ)--Se c'è un vincitore, in questa guerra che dura da quasi otto mesi, in Europa è un solo Paese: la Norvegia. Catapultata sul podio di primo fornitore di gas dell'Europa lasciata in riserva da Vladimir Putin, la Norvegia ha tirato le somme di questo improvviso primato che le ha consegnato una quota di ben il 30% delle export verso i Paesi Ue: per la fine dell'anno le sue entrate alla voce energia sono attese a circa 110 miliardi di euro, almeno 80 miliardi in più rispetto al 2021. E ancora più alte sono le stime per il 2023, oltre 130 miliardi di euro secondo i conti del ministero delle Finanze.

Lo scrive MF-Milano Finanza spiegando che, mentre i governi degli Stati membri si affannano, e si svenano, con misure taglia-bollette già costate complessivamente ben 314 miliardi di euro (oltre 500 miliardi, contando anche la Gran Bretagna), la nordica, scarsamente popolata Norvegia, che dell'Ue nemmeno fa parte, ha impegnato appena lo 0,8% del suo pil, poco più di 3 miliardi al cambio attuale euro/nok, cifra con la quale può permettersi di coprire l'80% dei costi in bolletta eccedenti il prezzi di 0,7 corone per kw. Oslo, insomma, ha assicurato un paracadute quasi totale ai consumatori e si gode l'inattesa ricchezza calamitata dal campione nazionale Equinor, posseduto al 67% dal governo attraverso il ministero del Petrolio e dell'Energia, e guidato dal ceo Anders Opedal. La sua importanza è tale che uno sciopero, o anche la sola minaccia di un sabotaggio, gettano nel panico il mercato. È successo la scorsa estate, con la mobilitazione sindacale dei dirigenti dell'oil & gas che avrebbe potuto fermare il 56% delle esportazioni di energia verso l'Europa. E lo psicodramma collettivo si è ripetuto il 13 ottobre, quando si è diffusa la voce, poi risultata infondata, di un sabotaggio all'impianto di Nyhamna, doe viene trattato il gas naturale dei giacimenti di Ormen Lange, operato da Shell, e di Aasta Hansteen, gestito da Equinor. Oltre a servire gran parte del mercato europeo, da Nyhama parte il gas per il mercato britannico, attraverso il gasdotto Langeled.

Le maglie nere d'Europa. Se il vincitore economico-energetico della guerra è un Paese europeo ma extra-Ue, anche il grande sconfitto non fa parte della Comunità: è il Regno Unito di Liz Truss. Per combattere il caro-energia ha mobilitato la cifra monstre di 178 miliardi di euro (al cambio con la sterlina), equivalente al 6,5% del pil e il 35% di quanto speso complessivamente da tutti i Paesi europei. La neo-premier Liz Truss è nell'occhio del ciclone, ed ha appena sostituito il ministro delle Finanze, Ma è bene anche rifare i conti di quante risorse hanno davvero impegnato i 27, perché ai 314 miliardi di euro riversati nelle misure taglia-bollette, andrebbero aggiunti anche quelli destinati a nazionalizzare o sostenere i grandi gruppi energetici, da Edf (9,7 miliardi di euro) a Uniper (17 miliardi di euro). Il conto sale così a oltre 450 miliardi di euro, sempre secondo il rapporto di Bruegel, e tira in ballo Francia e Germania, la prima con un esborso che sfiora gli 80 miliardi di euro, la seconda con oltre 100 miliardi, a oggi.

Il governo tedesco, che ha rifiutato di fare dietro-front sul NordStream 2, chiudendo all'ipotesi di riaprire l'unico rubinetto rimasto aperto dalla Russia, si prepara a un nuovo piano straordinario da 96 miliardi di euro per affrontare l'inverno con maggiore sicurezza. L'intervento verrebbe coperto dal maxi-pacchetto di aiuti da 200 miliardi di euro che il governo Scholz ha annunciato a settembre, mentre affronta un tasso di crescita dell'inflazione quasi dell'11%.

La Francia è un caso a sé. Poco o nulla dipendente dalla Russia e in solidi rapporti fornitura dalla Norvegia, si è trovata esposta su un altro fronte di battaglia: troppi i reattori nucleari fuori servizio, con le manutenzioni ulteriormente rallentate dagli scioperi, il prossimo inverno le mancheranno dai 5 ai 15 Gigawatt e si troverà a dipendere dalle importazioni per colmare questo gap. Il mezzo trilione di euro impegnato finora dai Paesi europei, insomma, rischia di essere solo l'inizio. Oltre a questi extra-costi, poi, va considerato che gli Stati dell'Ue stanno già destinando in media l'equivalente del 9% del pil al fabbisogno di energia, una percentuale mai più raggiunta dagli anni Ottanta, ancora più significativa se si pensa che è già in atto una riduzione di almeno il 5% dei consumi anno su anno.

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1708:55 ott 2022


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October 17, 2022 02:55 ET (06:55 GMT)