ROMA (MF-DJ)--Nell'ultimo anno i ricavi da gas e petrolio delle aziende di Mosca sono scesi costantemente. In aprile scorso il regime di Vladimir Putin fatturava oltre 1,1 mld di euro al giorno da fonti fossili, oggi la metà. Eppure non tutto sta andando come immaginavano i governi occidentali, quando hanno imposto il regime di ritorsioni più vasto mai concepito contro una delle maggiori economie al mondo. Non avevano immaginato, in particolare, che proprio i Paesi democratici - Italia inclusa - sarebbero diventati protagonisti di un massiccio sistema di aggiramento delle sanzioni contro il petrolio russo.

La dimensione del fenomeno, riporta il "Corrire della Sera", emerge in un rapporto del Centre for Research on Energy and Clean Air (Crea) di Helsinki, un think tank che nell'ultimo anno si è dedicato allo studio dell'export di materie prime dalla Russia. Quel che sta accadendo è tecnicamente legale, non risultano in alcun punto della filiera operazioni clandestine o false fatturazioni. C'è però un reticolo di triangolazioni con i grandi Paesi emergenti, che permette a Unione europea, Gran Bretagna, Australia, Stati Uniti e Giappone di violare nella sostanza le misure sul petrolio russo.

Se l'intenzione era ridurre le entrate con cui il Cremlino finanzia la guerra, i Paesi democratici stanno agendo in contraddizione con i loro stessi obiettivi.

Il centro studi Crea ricostruisce la curvatura che hanno preso gli scambi dall'inizio della guerra e da quando l'Europa ha proibito l'importazione di greggio di Mosca. Dall'avvio dell'aggressione all'Ucraina, le quantità trasportate dalle petroliere prevenienti dai porti russi esplodono del 140% verso cinque Paesi che non applicano le sanzioni: Cina, India, Turchia, Emirati Arabi Uniti e Singapore. In parallelo, questi cinque Paesi aumentano fortemente le spedizioni di prodotti raffinati - diesel gasolio e carburante per aerei - verso tutti i principali Paesi che, invece, tengono la Russia sotto sanzioni.

gug


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April 19, 2023 03:26 ET (07:26 GMT)