Il tribunale ha respinto il ricorso della società, oggi Acciaierie d'Italia (Adi) e controllata da ArcelorMittal, ponendo di fatto fine a un'estensione delle forniture che era stata concessa dai giudici in ottobre.

Appesantita dal rincaro dell'energia e da un calo dei prezzi dei rotoli di acciaio laminato, Adi è rimasta a corto di liquidità e ha accumulato ingenti debiti con i fornitori, in particolare con Eni.

Snam aveva chiesto l'interruzione della fornitura di gas per il mancato pagamento di bollette per oltre 200 milioni di euro.

Acciaierie d'Italia in una nota ha comunicato che procederà a impugnare l'ordinanza del Tar davanti al Consiglio di Stato.

Al momento non è stato possibile avere un commento da Snam.

ArcelorMittal, il secondo produttore di acciaio al mondo, possiede il 62% del gruppo, mentre Invitalia ha il restante 38%.

L'impianto principale di Adi a Taranto è uno dei più grandi d'Europa e rappresenta un'importante fonte di occupazione nel sud Italia.

Il governo sta cercando di evitare la chiusura della società, che costerebbe migliaia di posti di lavoro e avrebbe gravi ripercussioni sul settore manifatturiero italiano.

Il ministro dell'Industria Adolfo Urso giovedì ha detto che è urgente "un intervento drastico" per l'azienda dopo che ArcelorMittal ha respinto il piano del governo per rilanciare gli impianti.

Il governo Meloni sta cercando un accordo con ArcelorMittal che faciliti l'uscita del gruppo da Adi senza innescare un contenzioso legale, secondo fonti vicine alla situazione.

Come soluzione a breve termine, il governo sta valutando la possibilità di mettere Adi in amministrazione straordinaria, nominando uno o più commissari per evitarne la chiusura. Una soluzione di questo tipo potrebbe anche aiutare il governo a guadagnare tempo mentre cerca un nuovo partner industriale per la società.

Circa 8.200 persone lavorano direttamente nello stabilimento di Taranto, mentre altre 3.500 sono impiegate nell'indotto. Negli ultimi mesi la produzione è stata ridotta, con la chiusura di alcune parti e la messa in cassa integrazione di molti lavoratori.

(Emilio Parodi, in redazione Sabina Suzzi, editing Claudia Cristoferi)