ROMA (MF-DJ)--Il consolidamento del sistema finanziario non è partito dalle banche, ma dalle società di risparmio gestito. L'ingresso di Fsi nel capitale di Anima arriva a quasi due mesi dall'annuncio dell'alleanza tra Azimut e Unicredit nel wealth management. Secondo analisti e investitori si tratta di due operazioni che, pur nelle loro peculiarità, sono destinate a ridisegnare le geografie del settore. Le mosse degli operatori saranno peraltro seguite con grande attenzione dal governo, visto che da esse dipenderà il futuro di una fetta importante del risparmio italiano.

Martedì 14 febbraio il fondo Fsi di Maurizio Tamagnini ha comprato il 7,2% di Anima per 108,7 milioni nell'ambito di un reverse accelerated bookbuilding gestito da Mediobanca. L'operazione si presta ad almeno un paio di interpretazioni. Da un lato, c'è la lettura industriale: dopo gli investimenti in Cedacri, Lynx e Cerved, con l'ingresso in Anima la sgr di Tamagnini ha confermato l'interesse per quelle nicchie dei servizi finanziari dove l'utilizzo delle nuove tecnologie è oggi sempre più intenso. La seconda interpretazione è invece di natura politica. La ricostruzione fatta da un paio di fonti romane descrive un'operazione di sistema con in regia il governo e, in particolare, il ministero dell'Economia guidato da Giancarlo Giorgetti e con il preciso intento di proteggere Anima da appetiti stranieri.

Nel dicembre scorso, con una mossa altrettanto inattesa di quella del suo predecessore, il nuovo ceo di Unicredit Andrea Orcel ha cambiato le carte in tavola. Se i risultati saranno all'altezza delle ambizioni, la partnership commerciale con Azimut potrebbe ridisegnare le geografie del risparmio gestito in Italia. La conseguenza più immediata è quella di mettere in discussione il rinnovo della partnership di Unicredit con Amundi che scadrà nel 2027. Sebbene un divorzio non sia ancora scontato, con ogni probabilità l'alleanza sarà rivisitata, con il rischio di depotenziare il business del colosso francese.

Non è peraltro sfuggito al mercato che, proprio poche settimane dopo l'annuncio di piazza Gae Aulenti, Amundi ha scelto di cambiare il vertice della controllata italiana scegliendo per il ruolo di amministratore delegato e direttore generale Gabriele Tavazzani. Spetterà insomma a lui ricalibrare la strategia. Che opzioni ci sono sul tavolo? Nella primavera scorsa Amundi è diventata azionista di Anima con una quota del 5,2% e, a cavallo dell'estate, i rumors su una possibile opa totalitaria si sono intensificati nelle sale operative. Un blitz sulla sgr milanese avrebbe del resto molto senso. Non solo perché il principale cliente di Anima è Banco Bpm, di cui il Credit Agricole è primo socio al 9%, ma anche perché l'altro grande cliente è Mps, la banca pubblica con cui piazza Meda potrebbe presto convolare a nozze. Prendendo il controllo della sgr insomma Parigi acquisirebbe un implicito diritto di prelazione sul terzo polo bancario italiano. Fino a qualche mese fa l'ipotesi sembrava realistica, in forza non solo del trattato del Quirinale siglato tra Mario Draghi ed Emmanuel Macron ma anche della vicinanza dei vertici dell'Agricole con l'ex direttore generale del Tesoro Alessandro Rivera. Poi però molte cose sono cambiate. A Palazzo Chigi è arrivano un esecutivo molto attento alla difesa dell'italianità e con rapporti alquanto tiepidi con Parigi. In aggiunta a gennaio Riccardo Barbieri ha sostituito Rivera come direttore generale del Tesoro, privando la finanza transalpina di un punto di riferimento prezioso e aprendo così la strada a un profondo rimescolamento degli equilibri in alcune importanti partite societarie. Con l'ingresso di Fsi il fronte dei soci italiani di Anima ha superato il 40%, tenendo conto anche del 3% comprato nella primavera scorsa da Francesco Gaetano Caltagirone.

Con alcuni arrotondamenti, la compagine potrebbe rapidamente raggiungere la maggioranza assoluta del capitale, mettendo in sicurezza il controllo della sgr da appetiti stranieri. Non è sfuggito il ruolo di Mediobanca che si è rivolta al mercato con due comunicati tra martedì 14 e mercoledì 15. È possibile che, con il deal, piazzetta Cuccia abbia accresciuto il proprio credito politico presso il governo. Come spenderlo? Si specula da tempo su una grande operazione straordinaria che rafforzi Mediobanca nel risparmio gestito. Anche se per il momento nessun dossier è sul tavolo, gli occhi di analisti e investitori restano puntati su Banca Generali. Un deal tra Milano e Trieste rimane un'opzione molto suggestiva, anche se complessa. Non solo perché, dopo la battuta d'arresto sull'americana Guggenheim, Generali non ha ancora individuato un nuovo target. Ma anche perché, ove mai la vendita venisse confermata, Mediobanca dovrebbe affrontare due aspetti problematici: da un lato l'intervento di possibili competitor nell'eventuale processo competitivo e dall'altro la questione delle parti correlate.

Senza contare la possibile contrarietà di Delfin e di Francesco Gaetano Caltagirone. Ostacoli certamente complessi ma non proibitivi per Mediobanca. Soprattutto perché la volontà di creare un nuovo polo italiano del risparmio potrebbe incontrare il favore del governo Meloni che, con l'operazione Anima, ha dimostrato di avere parecchio a cuore la materia.

pev


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February 20, 2023 02:51 ET (07:51 GMT)