I prezzi del greggio hanno visto un'impennata dopo l'invasione russa dell'Ucraina, toccando i massimi dal 2008, ma questa settimana hanno un po' ritracciato sulle speranze che alcuni paesi possano intervenire per aumentare la produzione. Tuttavia i timori di maggiori restrizioni contro il greggio russo persistono e oggi sono tornati sotto i riflettori.

Intorno alle 12,15, i futures sul Brent guadagnano 4,28 dollari, o il 3,9%, a 113,61 dollari il barile. I futures sul greggio Usa balzano di 3,90 dollari, o del 3,7%, a 109,92 dollari il barile.

Il Brent si appresta a chiudere la settimana in ribasso del 5,4% dopo aver raggiunto 139,13 dollari il barile lunedì. Il greggio Usa è indirizzato verso una flessione del 6,2% dopo aver toccato lunedì un massimo di 130,50 dollari. L'ultima volta che i due contratti avevano toccato questi livelli era nel 2008.

La scorsa settimana il Brent ha guadagnato oltre il 20%, il maggior balzo settimanale in termini percentuali da maggio 2020, quando il Brent trattava a meno di 30 dollari il barile.

La volatilità di questa settimana è stata alimentata dal conflitto tra Russia e Ucraina, che ha spinto gli Stati Uniti e diverse major petrolifere occidentali a interrompere gli acquisti di greggio russo, tra ipotesi di un potenziale aumento dell'offerta da Iran, Venezuela ed Emirati Arabi Uniti.

Gli analisti di Commerzbank ora stimano che il Brent scambierà oltre i 100 il barile nel secondo trimestre e a circa 90 dollari il barile entro la fine dell'anno.

Nel breve termine, la mancata offerta russa probabilmente non potrà essere coperta da una produzione extra da parte dei membri Opec+, dato che la Russia è inclusa nel gruppo, secondo Vivek Dhar, analista di Commonwealth Bank.

Inoltre, alcuni produttori Opec+ come l'Angola e la Nigeria hanno avuto difficoltà a raggiungere i loro target di produzione, limitando ulteriormente la capacità del gruppo di compensare le perdite di offerta russa.

(Tradotto da Enrico Sciacovelli, editing Sabina Suzzi)