Di Roberto Sommella, direttore MF-Milano Finanza

ROMA (MF-NW)--Ha senso vendere la più antica banca del mondo per meno di 2 miliardi di euro? La domanda se la stanno ponendo nella Lega di Matteo Salvini ma anche al governo guidato da Giorgia Meloni, dopo che la sentenza della Cassazione ha sgombrato il campo da ogni ipotesi di falso in bilancio per il Monte dei Paschi di Siena, dimostrando che il sistema Italia forse ha speso inutilmente 17 miliardi di euro, tra aumenti di capitale e partecipazione del Tesoro che si potevano risparmiare. Ora che è tutto a posto si cede un asset rinvigorito dalla cura del suo ceo Luigi Lovaglio? Il dubbio è lecito: cedere, come concordato con Bruxelles e come ribadito dal ministro dell'Economia Giancarlo Giorgetti, la quota pubblica detenuta nel Monte (il 64%) ai prezzi attuali di borsa farebbe incassare allo stato meno di due miliardi, appunto quasi una miseria.

Che fare allora? Il debito pubblico, che viaggia verso i 3.000 miliardi di euro, va sicuramente ridotto e il piatto delle cessioni pubbliche, essendo intoccabili nuove quote di Eni, Enel e Poste, piange. C'è da farsi venire un'idea.

Una delle voci principali della manovra per il 2024 è quella delle dismissioni pubbliche, come ha spiegato su questo giornale Andrea Pira, ma le tabelle inviate in Europa non danno informazioni sul 2025 e sul 2026 e alla voce "impatti da privatizzazioni" segnano un magro 0,1% del pil, circa 2 miliardi di euro, per il 2024. Soltanto una minima parte insomma dei 20 miliardi previsti entro il 2026, considerando che anche la futura cessione di Ita non impatterà sul debito. I 325 milioni per la cessione del 41% dell'ex Alitalia a Lufthansa sono infatti un aumento di capitale riservato e finiranno direttamente nelle casse del vettore. Quello striminzito 0,1% di pil dovrebbe perciò essere assicurato dalla vendita di Mps. Ma gli altri 18 miliardi di euro da dove arriveranno?

I tecnici del Tesoro, già alle prese con le prossime emissioni di Btp e con gli occhi addosso delle agenzie di rating, stanno provando a raschiare il fondo del barile sotto la guida di Riccardo Barbieri e in contatto con la Cassa Depositi e Prestiti guidata da Dario Scannapieco.

La prudenza è massima, ma una exit strategy, raccontano fonti ben informate della maggioranza, parrebbe esserci, sempre che Giorgetti dia il via libera: coinvolgere nelle future vendite statali le ricche Casse di Previdenza. Questi enti hanno un patrimonio molto ricco, pari a 107 miliardi di euro e rappresentano un bacino fondamentale per innumerevoli professioni e la loro pensione che verrà.

L'idea, ancora allo studio ma, secondo quanto risulta a Milano Finanza, già prospettata alle Casse, sarebbe quella di offrire a questo mondo una quota nei gioielli di Stato detenuti in Cdp Equity, di fatto la cassaforte del colosso di via Goito, molto attiva nelle partecipazioni.

Cdp Equity sostiene infatti il mercato privato italiano con risorse aggiuntive o complementari. Agisce preferibilmente come azionista di minoranza, con presidi di governance adeguati e strumentali agli obiettivi connessi al proprio investimento, si legge nella mission illustrata nei suoi documenti di presentazione al mercato.

Il suo portafoglio vale quasi 10 miliardi di euro ed è composto da investimenti diretti in società quotate e non quotate, ed investimenti indiretti, attraverso Sgr partecipate ed Sgr gestite da terzi seguendo il principio della rotazione del capitale investito una volta raggiunti gli obiettivi prefissati. Il braccio operativo di Via Goito ha partecipazioni importanti. C'è Aspi, le vecchie Autostrade da poco tornate nell'alveo statale dal gruppo Benetton e su cui pende l'ipotesi dell'uscita dei fondi Blackstone e Macquarie, un presunto interesse del gruppo Dogliani e una possibile ipo, come rivelato proprio da questo giornale (cfr Milano Finanza del 12 agosto 2023). Ci sono aziende importanti nel settore energia come Ansaldo Energia e Saipem, grandi gruppi quali Fincantieri ed Euronext, la borsa europea dove è confluita Borsa spa, e poi ancora Open Fiber, Nexi e Webuild.

Un bel tesoro di partecipazioni che vanno dall'88,1% in Aspi al 16,6% in Webuild e che ovviamente fanno gola a tanti. Le casse previdenziali potrebbero essere interessate a rilevare direttamente una quota di Cdp Venture, intorno al 30% per un controvalore di 3-4 miliardi di euro, mantenendo peraltro per statuto un imprinting vicino a quello dello Stato. Fin qui i rumors, che potrebbero però diventare qualcosa di più se si complicasse la via della nuova stagione di privatizzazioni.

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2308:54 ott 2023


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