ROMA (MF-NW)--'Vuoi donare l'immobile a uno solo dei tuoi figli? Lascia stare, non ti conviene. Lui non ci potrà fare niente: nessuno lo comprerà, perché hanno paura che un domani ci siano liti sull'eredità e questo immobile verrà reinserito in successione. E nessuna banca non glielo prenderà mai in ipoteca. Di fatto, diventa bloccato'.

Chiunque abbia avuto a che fare con temi di successione avrà sentito pronunciare concetti come questi dal proprio notaio, dal commercialista, dall'avvocato, dall'amico esperto che ci è già passato. In effetti, scrive MF-Milano Finanza, la legge italiana è molto complessa nelle donazioni e tutela soprattutto gli eredi di chi, in vita, decide di donare dei beni: se al momento dell'apertura della successione un erede legittimo ritiene che quella donazione abbia leso la quota di eredità che gli spetta di diritto, può rivalersi sul bene donato, anche se questo è stato venduto a un terzo. Persino se quest'ultimo non a conoscenza della donazione iniziale. E, se per caso è stata costituita un'ipoteca, la banca la perderebbe, perché il bene - dopo un'azione legale, detta di «riduzione» della donazione - ritornerà nell'asse ereditario. Questa è per esempio una delle rivendicazioni di Margherita Agnelli nella ventennale lite giudiziaria contro i suoi primi tre figli John, Lapo e Ginevra Elkann relativamente alle quote della Dicembre società semplice, il veicolo alla base dell'impero Exor (Stellantis, Ferrari, Cnh, Juventus, The Economist, Lingotto eccetera). Appunto, la lesione della quota di legittima.

Sulla base del principio di famiglia che «gli Agnelli comandano uno alla volta», il primogenito di Margherita ha ottenuto negli anni, direttamente dal nonno, con acquisti, e con donazioni dalla nonna il controllo della Dicembre. Ma per la legge italiana la donazione di un bene rientra nell'asse ereditario al valore che aveva al momento della morte del donante, non di quando venne donato. Secondo la stima dei periti nominati da Margherita, la catena Dicembre - Giovanni Agnelli Bv - Exor alla morte di Marella Caracciolo, nel 2019, valeva più di 4,6 miliardi. Molto più che al momento delle varie donazioni delle quote della Dicembre. La legittima sul 50% spettante alla figlia Margherita sarebbe quindi circa 2,3 miliardi.

Nelle bozze della manovra di bilancio 2024 del governo Meloni spunta però ora una norma che può cambiare radicalmente le carte in tavola, almeno per il futuro. Secondo i testi finora circolati, l'azione di riduzione non potrà più essere effettuata, a protezione dei terzi che hanno acquisito quel bene. Se un erede legittimario riterrà di essere stato leso nella divisione dell'eredità, può solo fare causa alla persona che ha ricevuto quel bene in dono per ottenere l'equivalente in denaro. Ma il bene - pensiamo per esempio a un immobile, o alle quote societarie - non potrà essere richiamato e riassegnato agli eredi. Le donazioni sono state molto utilizzate anche in successioni estremamente ricche: per esempio quella cessione a titolo gratuito della nuda proprietà delle quote della lussemburghese Delfin è stata la via prescelta da Leonardo Del Vecchio per far passare ai suoi sei eredi la titolarità della holding a capo di EssilorLuxottica, anche se in questo caso concreto le liti tra i figli e con il top manager Francesco Milleri, destinatario di un lascito da 300 milioni di euro, sulla chiusura della successione non dovrebbero arrivare a mettere in discussione l'iniziale decisione paterna.

Ma che le donazioni siano il ventre debole dei passaggi generazionali è un fatto ben conosciuto a chi segue questi temi. Secondo quanto risulta a Milano Finanza da fonti a conoscenza del dossier, il montante delle donazioni interessate - che di fatto sono diventati beni bloccati, senza mercato né bancabilità - è consistente: intorno ai 10 miliardi di valore per anno, per un numero complessivo di atti superiore a duecentomila.

«La norma può avere implicazioni non da poco», commenta con Milano Finanza sotto garanzia di anonimato un importante avvocato che segue professionalmente grandi famiglie imprenditoriali e alcune tra le cause successorie più note. «Bisogna capire bene quale sarà il suo impatto. La norma poi potrebbe in qualche modo combinarsi anche con quella già esistente da tempo sul cosiddetto "patto di famiglia" che consente al testatore di assegnare a un erede il controllo dell'azienda di famiglia, con la compensazione in denaro o con altri beni a favore degli altri eredi: uno strumento che consente di privilegiare la continuità e la salvaguardia dell'azienda».

Proprio l'intervento del governo, per di più nella manovra, fa capire quanto sia urgente anche dal punto di vista economico intervenire sulla materia, dato che le liti successorie sono sempre più numerose e coinvolgono gruppi molto importanti del tessuto industriale italiano. Non ci sono solo gli Agnelli e i Del Vecchio, ad affidare ai tribunali i loro destini e le volontà paterne. La cronaca recente ne riporta diversi altri, clamorosi. Piuttosto travagliate sono state anche le vicende legate alla successione di Bernardo Caprotti, il vulcanico fondatore di Esselunga, gigante della grande distribuzione da 4,6 miliardi di fatturato del primo semestre, scomparso nel 2016. Il primogenito Giuseppe aveva ricoperto nel tempo diversi ruoli in azienda, fino a diventarne amministratore delegato nel 2002, salvo poi essere bruscamente estromesso dal padre al culmine di crescenti dissidi che lo stesso Giuseppe ha ricostruito di recente con un libro (Le ossa dei Caprotti. Una storia italiana, edito da Feltrinelli). La rottura del rapporto ebbe un inevitabile strascico in tribunale con una causa legale che mise in discussione gli assetti della catena milanese di supermercati e che si concluse con un lodo che ha escluso dal gruppo i due figli avuti con la prima moglie, ovvero Giuseppe e Violetta. Nel 2017, scomparso il patron, la terzogenita Marina Sylvia e la madre Giuliana Albéra, titolari del 70% della holding Supermarkets Italiani, fecero in fine valere il loro diritto sancito dalla successione, ricomprando per 1,83 miliardi il 30% restante del veicolo, in mano a Violetta e Giuseppe.

Un patto di famiglia ha deciso le sorti della dynasty Angelini.

Martedì 24 ottobre è arrivata la parola fine nella faida familiare intorno alla malattia neurocognitiva di Francesco Angelini, il 78enne imprenditore romano del colosso farmaceutico che produce la Tachipirina, l'Amuchina e i pannolini Pampers, un gruppo diversificato che fra pharma e finanza ha fatturato nel 2022 oltre due miliardi. Il tribunale ha appena dato ragione a una delle tre figlie, la minore Thea Paola Angelini, in lotta per la gestione del patrimonio del padre nominandola come amministratrice di sostegno. L'altra figlia del patron, Maria Gioiella, si era opposta a questa nomina, chiedendo quella di un amministratore esterno alla famiglia perché la sorella sarebbe in conflitto di interessi. Perché? I motivi devono ricercarsi in una controversia che si trascina da anni. Tra il 2016 e il 2018 Thea Paola (le altre sono la primogenita Maria Francesca e Maria Gioella, tutte e tre frutto di tre relazioni diverse del patron) e il marito Sergio Marullo di Condojanni avevano assunto la guida della Angelini Finanziaria, la scatola in cima alla catena del gruppo. Il padre aveva donato a Thea Paola il 68% della nuda proprietà della finanziaria, con diritto di voto in assemblea ordinaria, riservando per sé il diritto ai dividendi. Una delle sorelle, Maria Francesca, aveva seguito la ripartizione voluta dal padre con un patto di famiglia, accettando una quota del 16% della finanziaria e 480 milioni di liquidazione cash, mentre l'altra sorella Gioella aveva dato il via a una lunga battaglia legale, con richieste d'interdizione del padre e denunce alla sorellastra per circonvenzione di incapace. I giudici ora hanno archiviato le inchieste e confermato l'assetto definito dato dal pater familias all'impero Angelini. Insomma, hanno messo la parola fine.

Salvo sorprese e ricorsi.

alu

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3009:48 ott 2023


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October 30, 2023 04:50 ET (08:50 GMT)