ROMA (MF-DJ)--I legali del gruppo Maccaferri sono al lavoro per definire il ricorso contro la sentenza del Tribunale fallimentare di Bologna che il 5 luglio scorso ha respinto la proposta di concordato preventivo presentato da Seci (la holding della famiglia) dichiarando il fallimento della holding.

Al momento, secondo quanto riferiscono a Mf-DowJones fonti molto vicine al gruppo, non è ancora stata definita la strategia che dovrá supportare l'impugnazione della dichiarazione di fallimento. Trovare argomentazioni legali per opporsi alla decisione del Tribunale bolognese appare, sostengono le fonti, quanto mai difficile poichè 'non ci sono elementi reali' per sostenere un ricorso. La decisione dei giudici fallimentari, spiegano ancora le fonti, ha colto in pieno la situazione del gruppo: non c'è continuità aziendale, c'è solo una liquidazione. Peraltro, nel respingere la proposta di concordato, che ad avviso del Tribunale non è supportata dalla presentazione di un vero e proprio piano, i giudici hanno rilevato il fatto che Seci versi in un 'irreversibile stato di insolvenza', situazione mai contestata dalla societá.

Il 13 febbraio 2020 il procuratore capo Giuseppe Amato, l'aggiunto Francesco Caleca e il sostituto procuratore Nicola Scalabrini avevano presentato richiesta di fallimento proprio parlando di una situazione 'di insolvenza irreversibile', di un 'grave stato di dissesto finanziario', determinato da un patrimonio netto negativo di oltre 65 milionì giá al 31 dicembre 2018, anche se nelle premesse del ricorso del 31 maggio 2019 la societá facesse riferimento a uno stato di 'tensione finanziariá.

Scalabrini e Caleca avevano chiesto al Tribunale di respingere il piano non solo perchè ritenuto 'inadeguato nel merito' ma anche perchè contestavano alla societá un profilo di 'abuso di processo'. Secondo la tesi della Procura, in violazione dei canoni di correttezza e buona fede e dei principi di lealtá processuale, Seci avrebbe utilizzato la procedura di concordato non per la 'tempestiva emersione di una crisi d'impresa in vista dell'approntamento degli strumenti necessari a fronteggiarla', ma solo per ritardare la dichiarazione di fallimento. Una tesi condivisa dai giudici che non hanno neanche ritenuto sufficiente l'intervento del fondo Apollo Global Management pronto a investire 215 milioni di euro, da versare subito a saldo del 100% di tutti i crediti senior (compresi i bond) e del 15% dei crediti chirografari.

Guardando alla storia recente del gruppo, questo epilogo appare come un fallimento annunciato o comunque prevedibile. Giá nel 2015, spiegano ancora le fonti, viste le esigenze di liquiditá e il debito bancario elevato, sarebbe stato auspicabile l'avvio di un massiccio processo di ristrutturazione dell'esposizione. All'epoca, tuttavia, la famiglia ha scelto di procedere alla cessione di alcuni asset che -sostenevano- avrebbe portato a ottenere le risorse necessarie a proseguire l'attivitá del gruppo salvaguardando posti di lavoro sul territorio.

Le difficoltà del gruppo sono state dunque affrontate con operazioni straordinarie volte principalmente a fare cassa per far fronte ad un crescente indebitamento invece di sviluppare investimenti profittevoli.

Sei anni fa, a giugno, Seci vendeva il 49% di Gnonis, un gioiellino attivo nello sviluppo, nella produzione e nella vendita di principi attivi ottenuti mediante processi di bio-fermentazione, generando un cash in di 120 mln. L'incasso tuttavia viene subito drenato dalle attivitá in perdita: Eridiana, Sap e il settore del real estate. Quest'ultimo molto caro ai Maccaferri, tanto da non volervi affatto rinunciare sebbene vi fossero tutte le premesse per trasformarlo nel buco nero che poi è diventato per il gruppo insieme agli investimenti esteri (Egitto e Brasile, in particolare) nel settore dell'energia. Le nuove risorse non risolvono le criticità e, nel 2016, la societá decide di vendere ancora: si tratta del marchio Eridiana che genera un incasso di 35 mln. Sia la vendita di Gnosis che la cessione del marchio Eridiana appaiono realizzate a sconto, se si considerano le allora valutazioni di mercato. Soprattutto nel caso della partecipazione detenuta in Gnosis, societá con brillanti prospettive di crescita.

Nel settembre 2017 viene realizzato uno spin off immobiliare (tramite scissione proporzionale) con un cash-in netto di 30 mln. A fine 2017 vengono poi ceduti diversi asset fotovoltaici che generano proceeds per circa 70 mln. Nel biennio 2017-18, la societá sottoscrive poi finanziamenti per 196 milioni, di cui 66 mln per il refinancing dell'operazione 'Castel Romano', 40 mln come bridge concesso da Credit Suisse (ad un tasso del 5%, nettamente superiore alla media dei tassi di mercato) e 90 milioni di emissioni obbligazionarie. Nonostante le ingenti risorse rivenienti dalle cessioni, da subito al gruppo viene contestato il default da parte della banca svizzera che non si vede rimborsare la prima installment (di circa 6 milioni) del finanziamento bridge in scadenza al 30 giugno 2018, giustificato inizialmente - con la necessitá di far fronte a una inaspettata sovra-disponibilitá di tabacco, acquistata dalla holding per conto del Sigaro Toscano (societá controllata della famiglia Maccaferri).

In realtà la carenza di liquiditá era stata aggravata dalla truffa perpetrata, qualche settimana prima, ai danni della branch statunitense di Officine Maccaferri il cui cfo, complice l'assenza di adeguate policy interne di controllo, bonifica -così subendo il raggiro della 'email falsa del capo'- oltre 5 milioni di dollari verso la Svizzera e Hong Kong. Nonostante l'intervento dell'Fbi le somme sottratte non vengono recuperate. I rapporti con la banca svizzera, che non concede alcuna moratoria, si irrigidiscono al punto da convincere i fratelli Maccaferri a intervenire direttamente con proprie risorse, oltre che a rimborsare quanto prima il finanziamento in essere.

La situazione del gruppo comincia a essere davvero molto complicata. L'esposizione debitoria è oltre i livelli di guardia e richiederebbe la pianificazione di un progetto di ristrutturazione. Ipotesi ancora non considerata praticabile dai Maccaferri, soprattutto per la ricaduta in termini reputazionali. Così, insieme al management si decide di procedere lungo la strada intrapresa sin dal 2015: dismissioni e nuovo debito.

Rimane un ultimo gioiellino su cui puntare: il Sigaro Toscano. La famiglia inizia a fare pressione sugli azionisti della societá, valutata oltre 500 milioni, per arrivare alla quotazione in Borsa dalla quale si prevede un incasso netto di 200 milioni. L'operazione sfuma e le esigenze di cassa diventano sempre piú stringenti. Si pensa così all'emissione di un bond da 90 milioni, da utilizzare in larga parte per ripagare il bridge financing concesso da Credit Suisse di 40 milioni, giá in default. Il bond, garantito da un pegno sulle azioni del Sigaro Toscano, viene sottoscritto da un pool di imprenditori tra cui Piero Gnudi e Luca Cordero di Montezemolo. Ma anche il bond ha poca fortuna. Non viene onorato già dal primo pagamento e Montezemolo parte con azioni legali per l'escussione delle garanzie, che tuttavia si interrompono con il raggiungimento di un accordo di rescheduling. Un ulteriore bond di 40 milioni viene emesso dalle controllate Samp nel biennio 2018-2019. Sempre nel 2019, vengono ceduti da Seci Energia a Susi Sustainable Investments crediti da tariffe incentivanti per oltre 30 milioni.

Nel luglio 2020, solo un anno fa, la Guardia di Finanza del capoluogo emiliano esegue il sequestro preventivo dell'intero capitale sociale della Sei spa, una societá 'estranea' al gruppo Maccaferri, sebbene il capitale sociale della stessa sia interamente detenuto dagli stessi soci di Seci. Le indagini, spiegano dalla procura, oltre ad avere evidenziato la 'preesistenza di una condizione di incapacita' economica di Seci', si sono concentrate su una operazione di scissione risalente al 2017 in virtú della quale numerosi asset immobiliari e partecipativi sono stati trasferiti in favore della neocostituita Sei. Il valore delle proprietá immobiliari trasferite è pari a oltre 57,6 milioni di euro (valore netto depurato dei debiti 'contestualmente fatti gravare sulla societa' neocostituita). Il Gip ritiene che sia stata 'indebitamente diminuita, per un pari valore, il patrimonio di Seci, in danno del ceto creditorio'. L'operazione di scissione avrebbe così prodotto 'il consapevole depauperamento' dei diritti dei creditori, risultando di natura 'oggettivamente e soggettivamente distrattiva' e, quindi, penalmente inquadrabile nell'ipotesi della bancarotta fraudolenta patrimoniale, perseguibile anche nella fase di istruttoria pre-fallimentare. Il sequestro del capitale sociale di Sei aveva l'obiettivo di impedire ulteriori pregiudizi in danno delle ragioni dei creditori Seci.

In definitiva, nel breve lasso di tempo considerato -tra il 2015 e il 2020- a fronte di incassi netti complessivi pari a circa 225 mln, la societá contrae ulteriore debito per oltre 190 milioni. Il deterioramento delle condizioni patrimoniali della societá, fanno notare le fonti, è imputabile alla inadeguata gestione della holding, incapace di far fare al gruppo quel salto di qualitá che l'internazionalizzazione dello stesso avrebbe richiesto. Da quanto si apprende, non sarebbe stato mai nemmeno predisposto un piano industriale. Solo la cross-collateralization dei finanziamenti concessi per oltre 60 milioni dalla Bei al settore energetico del gruppo, garantiti da controllate operative nei piú diversi ambiti (Samp, Officine Maccaferri, Sigaro Toscano), ha determinato una 'contaminazione decisamente scongiurabile da parte di avveduti dirigenti'. Un'ipotesi, concludono le fonti, 'di sicuro avvalorata dalla sentenza del Tribunale di Bologna, nella quale ci si interroga sul perche' non siano mai state avviate azioni di

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July 27, 2021 09:00 ET (13:00 GMT)