Per quanto riguarda Richemont, l'evento sembra insignificante. Il proprietario dei marchi Cartier, Van Cleef & Ariel e Vacheron Constantin non è nuovo a queste peripezie. Il suo direttore finanziario, noto per non essere eccessivamente ottimista, ha infatti confermato il mantenimento delle previsioni annuali.

Rispetto al settore in generale, era necessario un ritorno delle valutazioni intorno alle medie storiche, dopo un clima economico provvidenziale - alcuni direbbero quasi troppo bello per durare - e una indiscutibile mania speculativa. Non vediamo altro che un'evoluzione molto sana.

Tuttavia, alcuni gruppi sono più esposti di altri. Mentre LVMH è magnificamente diversificato e Hermès rimane intoccabile grazie alla sua posizione ultra-lusso difesa con zelo, Richemont e Kering, al contrario, sono ancora troppo dipendenti dai loro marchi di punta: Cartier per il primo, Gucci per il secondo.

Non sorprende che il mercato non veda di buon occhio questa sovraesposizione, a cui si aggiunge una stupefacente dipendenza dei due gruppi dal mercato cinese. Rabbrividiamo all'idea di cosa succederebbe ai loro risultati se per un motivo o per un altro i clienti cinesi perdessero interesse per questi marchi. Ma tutto questo non è nuovo.

Richemont quota i suoi utili previsti per il prossimo anno a x19 e, sulla base del suo enterprise value, cioè la sua capitalizzazione di mercato meno la liquidità in eccesso, il suo utile operativo a x15: è perfettamente in linea con la sua media storica. Kering, che tre anni fa sperava di fondersi con Richemont, è quotata a multipli ancora più bassi. I fan di Gucci dovrebbero prendere nota.

Un altro argomento controverso presso Richemont riguarda il controllo assoluto esercitato dal miliardario sudafricano Johann Rupert sul gruppo. All'età di 73 anni, l'abile uomo d'affari afrikaner ha soffocato sul nascere i pochi tentativi di destabilizzazione tentati contro di lui; ma l'argomento tornerà inevitabilmente a galla in un futuro molto prossimo, senza dubbio nell'ambito delle discussioni sul piano di successione.

Spesso criticato per il suo stile difensivo, Rupert ha sempre difeso gelosamente la sua indipendenza, evitando fusioni e acquisizioni di rilievo - nonostante il fallimento dell'acquisizione di YNAP, venduta infine a Farfetch dopo essere costata al gruppo 4 miliardi di euro - preferendo invece investire nello sviluppo dei suoi marchi.

Lo stile è certamente meno sfavillante di quello di Bernard Arnault, ma ha permesso a Richemont di sviluppare tre superbe franchising nel settore della gioielleria di lusso, di raddoppiare il suo fatturato nell'ultima decade, e di accumulare un bottino di oltre 20 miliardi di euro.

Non c'è dubbio che questo proteggerà il gruppo da un duro colpo alla sua attività.