MILANO (MF-DJ)--Martedì 26 ottobre il titolo Telecom Italia valeva in borsa 0,3398 euro, una quotazione non brillante visto che a inizio 2021 le stesse azioni viaggiavano a 0,38 euro, ma tre giorni dopo, ossia venerdì 29, con in mezzo la pubblicazione dei conti dei 9 mesi, il titolo era precipitato di quasi il 10% a 0,3081, toccando i nuovi minimi dall'inizio dell'anno, con volumi di scambio sopra la media del periodo. Ciclicamente si torna qui, alle quotazioni.

Cambiano i piani strategici, si parla di valorizzazioni, di riduzione del debito, si aprono e si chiudono discorsi sulla rete, ci sono state aste per le frequenze e conflitti tra azionisti, ma alla fine si torna sempre al valore delle azioni. Un valore che è evidente faccia venire il mal di pancia ai suoi principali azionisti, ossia a Vivendi che è titolare del 24% e a Cassa Depositi e Prestiti che ha quasi il 10%. Al momento ci stanno rimettendo tutti. Tutto questo considerando che dall'inizio dell'anno mentre Tim ha perso quasi il 20% l'indice Euro Stoxx è salito quasi dell'8%. Un rebus.

Ci sono sempre due storie quando si parla della società di telecomunicazioni un tempo conosciuta come Sip. Una è quella che si vede guardando da vicino e l'altra quella che si scopre osservando invece dall'alto l'andamento negli ultimi 20 anni. Da vicino la valutazione è sempre più complessa. Cosa poteva fare di più l'attuale ceo Luigi Gubitosi? Esistono scelte per le quali è criticabile? E in generale, cosa avrebbero potuto fare di diverso nel corso del loro mandato i tanti amministratori delegati che si sono avvicendati alla guida della società? Allargando lo sguardo la fotografia è quella di un'azienda che in 20 anni ha perso il 95% del suo valore in borsa. Un titolo il cui grafico dal 2000, quando capitalizzava 44 miliardi, punta impietosamente verso il basso e mostra una società che oggi tra ordinarie e risparmio ha una market cap di 6,89 miliardi. E così, come ciclicamente si torna alle valutazioni sull'andamento delle azioni, allo stesso modo ciclicamente si torna a mettere in discussione gli amministratori delegati. E' successo anche allo stesso Gubitosi, che pure gode di grande credito nel mondo delle imprese e della finanza. Nelle settimane che hanno preceduto l'ultimo consiglio d'amministrazione che ha approvato i conti dei nove mesi erano tornate a circolare voci di malumori tra gli azionisti.

Il principale imputato di questi malumori era il socio francese Vivendi. A fine 2016, quando il gruppo che fa capo al finanziere Vincent Bollorè è entrato nel capitale di Telecom Italia, il 24% del gruppo tlc valeva da bilancio 4,1 miliardi, mentre oggi, con il titolo a 0,31 euro, vale potenzialmente 1,125 miliardi. Ballano 3 miliardi. Nell'ultima semestrale, Vivendi ha iscritto a bilancio in realtà un valore di 3,021 miliardi (100 milioni in meno del 2020), proprio perché la società ritiene che il titolo sul lungo termine abbia spazio per una rivalutazione, ma ha anche spiegato nel documento di bilancio che eseguirà un nuovo impairment test dopo l'aggiornamento del piano industriale della società, che è atteso nei primi mesi del 2022. Ma oggi i problemi quali sono? A Gubitosi vengono fatti in realtà solo due appunti, il primo sulla partita per la rete unica e il secondo riguardante l'ingresso nel calcio. Nel primo caso, si imputa all'ad di aver puntato troppo sulla fusione con Open Fiber, ma va detto che creando Fibercop e cedendo una parte di questa a Kkr Tim ha potuto fare cassa. Nel secondo caso la sensazione è che la scommessa sulla Serie A e l'alleanza con Dazn non abbiano finora portato i frutti sperati.

fch

(END) Dow Jones Newswires

November 01, 2021 04:57 ET (08:57 GMT)