ZURIGO (awp/ats) - Harris Associates abbandona Credit Suisse (CS): stando al Financial Times (FT) la società d'investimento americana, che in passato figurava fra i principali azionisti della banca, ha venduto tutte le sue azioni, mettendo nel contempo in dubbio il modello di affari dell'istituto, alla luce delle continue perdite e dei massicci ritiri di fondi da parte dei clienti.

Nell'estate del 2022, la stessa Harris Associates aveva valutato la sua partecipazione a poco più del 10%. In seguito era scesa costantemente e nel gennaio di quest'anno la quota era passata sotto il 3%, facendo scattare la notifica obbligatoria alla borsa di Zurigo.

"Ci si interroga sul futuro: ci sono stati grandi deflussi dalla gestione patrimoniale", afferma David Herro, vicepresidente di Harris Associates e responsabile degli investimenti dell'azienda, in dichiarazioni riportate dal FT. "Abbiamo molte altre opzioni per investire", ha aggiunto il dirigente americano. "L'aumento dei tassi di interesse ha come conseguenza che numerosi titoli finanziari europei stanno andando nella direzione opposta. Perché puntare su qualcosa che sta bruciando capitale quando il resto del settore lo sta generando?".

L'impresa americana possiede ancora azioni di diversi istituti finanziari europei, tra cui l'inglese Lloyds Banking Group, l'italiana Intesa Sanpaolo, la francese BNP Paribas, la svizzera Julius Bär e l'assicuratore tedesco Allianz. La ditta è più fiduciosa sulle loro prospettive, in quanto l'aumento dei tassi di interesse accresce i margini, la redditività, nonché la capacità di versare dividendi e riacquistare azioni.

Herro non è convinto che l'ultima radicale ristrutturazione annunciata da Credit Suisse, che prevede lo scorporo della banca d'investimento e il potenziamento dell'attività di gestione patrimoniale, possa risollevare le sorti dell'istituto. Stando al quotidiano britannico l'esperto si dice in particolare frustrato per i costi e la mancanza di trasparenza relativi all'operazione di scorporo della banca d'investimento con l'ex membro del consiglio di amministrazione Michael Klein - che farà rivivere il marchio First Boston - e all'accordo di vendita delle attività di prodotti cartolarizzati al gruppo Apollo.

"Riteniamo che il piano di ristrutturazione della banca d'investimento, pur avendo buone motivazioni, sia macchinoso e molto più oneroso in termini di liquidità di quanto ci aspettassimo", osserva Herro. "Inoltre non siamo soddisfatti dei proventi ottenuti dalla vendita dei prodotti cartolarizzati".

Harris Associates ha comprato per la prima volta azioni Credit Suisse nel 2002, quando il loro prezzo era inferiore a 30 franchi, e le ha vendute tutte prima della crisi finanziaria del 2008 a prezzi compresi tra 60 e 70 franchi. Ha poi riacquistato il titolo nel 2009 quando il prezzo era sceso a circa 23 franchi svizzeri, individuando un'opportunità. Dopo essere salite inizialmente a 56 franchi, le azioni sono poi scese. Nel maggio 2012 l'impresa americana possedeva 37 milioni di azioni del gruppo, che all'epoca valevano poco più di 600 milioni di franchi e che oggi sarebbero valutate 103 milioni.

L'istituto elvetico "è stato un freno misurabile alla nostra performance", si rammarica Herro. "Non si può vincere sempre, è così il mestiere. Incontriamo i dirigenti di tutte le società che possediamo, ma passiamo molto più tempo con i nostri figli problematici. Credit Suisse è stato per anni una perdita di tempo e di valore".

I due maggiori azionisti di Credit Suisse sono ora Saudi National Bank, che ha acquistato una quota del 10% nell'ambito dell'aumento di capitale dello scorso anno, e Qatar Investment Authority, che ha portato la sua partecipazione al 7% nello stesso periodo.

Intanto oggi in borsa per CS è un'ennesima giornata di sofferenza: i titoli della banca scendono del 2% rispetto a venerdì e sono scambiati a 2,72 franchi. La settimana scorsa, il 2 marzo, era stato toccato il minimo di sempre a 2,50 franchi. Nello spazio di tre anni l'azione ha perso il 72% del suo valore. Oggi la capitalizzazione borsistica non arriva a 11 miliardi di franchi: a titolo di confronto, quella di UBS supera i 64 miliardi.

Il corso dell'azione riflette un andamento degli affari per nulla soddisfacente: nel 2022 l'istituto fondato nel 1856 a Zurigo da Alfred Escher (1819-1882) ha subito una perdita di 7,3 miliardi di franchi, che segue il rosso di 1,6 miliardi dell'anno prima.