PECHINO/NEW YORK (awp/ats/ans) - L'economia cinese in difficoltà e lo scetticismo su nuovi stimoli del governo di Pechino affondano i listini asiatici, a partire da Shanghai (-2,68%) e Shenzhen (-4,47%), scesi ai minimi da marzo 2020. Hong Kong (-2,27%) testa il punto più basso dal 2009, mentre in rosso finiscono Seul (-0,34%) e Mumbai (-0,23%).

L'agenzia di rating Moody's, a conferma dei dubbi sul Dragone, ha stimato un outlook negativo sul merito del credito sovrano nell'Asia Pacifico per il 2024, a causa della frenata della crescita cinese, della stretta sul credito e dei rischi geopolitici.

La ripresa di Pechino dopo il Covid-19 non è stata rapida come sperato, mentre il suo prodotto interno lordo (Pil) negli ultimi tre mesi del 2023 è aumentato del 5,2% (+5,3% le stime), nel mezzo di una pericolosa curva di deflazione e dei deboli consumi.

Il trend dei listini cinesi, opposto a quelli nipponici dove il Nikkei (+1,62%) aggiorna i massimi degli ultimi 34 anni, sconta il pessimismo degli investitori internazionali. L'aria che tira su Pechino non tocca però neppure i mercati europei, tutti intonati in positivo, né Wall Street con il Dow Jones che ha superato per la prima volta i 38'000 punti.

In un rapporto della scorsa settimana, Moody's ha previsto che la crescita reale in Cina rallenterà al 4% nel 2024 e nel 2025, da una media del 6% tra il 2014 e il 2023. L'agenzia ha rilevato poi che la frenata di Pechino "influenza in modo significativo" le economie dell'Asia Pacifico per la sua forte integrazione nelle catene di fornitura.

Goldman Sachs e Morgan Stanley, tra le altre principali banche di investimento globali, prevedono che il Dragone crescerà del 4,6% nel 2024, in calo sul 5,2% del 2023 che è stato raggiunto - ha rimarcato il premier Li Qiang parlando la scorsa settimana al Forum economico mondiale di Davos (GR) - "senza misure straordinarie", stroncando le ipotesi di massicci interventi in soccorso della ripresa.

Oltre alla situazione poco brillante in Cina, le rigide condizioni di finanziamento peseranno nell'Asia Pacifico a causa delle condizioni di liquidità globale che non si allenteranno fino a quando la Federal Reserve (Fed, la banca centrale statunitense) non avvierà il taglio dei tassi: la Fed ha votato a dicembre per tenerli al livello più alto degli ultimi 22 anni, ma prevede tre limature nel 2024 con il calo dell'inflazione.

Moody's ha citato inoltre le tensioni geopolitiche e strategiche tra Cina e Stati Uniti che resteranno ancora: Pechino, tuttavia, è partner commerciale prevalente per la gran parte delle nazioni asiatiche, mentre anche Washington resta, sia pure al terzo posto, un importante interlocutore dell'interscambio del Dragone.

Intanto, la Banca centrale cinese ha confermato per il quinto mese di fila sia il Loan prime rate (Lpr) a un anno al 3,45%, tra i tassi preferenziali alla clientela migliore, sia quello a cinque anni al 4,20%, il benchmark per i mutui immobiliari, malgrado il real estate (l'insieme degli operatori, dei prodotti e dei servizi riferiti al mercato immobiliare) sia in profonda sofferenza e la vera zavorra della crescita. Il numero di case pignorate in Cina nel 2023, infatti, è aumentato del 43% su base annua, evidenziando un'impennata preoccupante delle insolvenze sui mutui in un contesto di crisi immobiliare prolungata e di una congiuntura economica che resta irregolare. Lo scorso anno il numero di case pignorate e finite all'asta è stato di 389'000 unità, ha affermato la China Index Academy, una società di ricerca immobiliare indipendente.