MILANO (MF-DJ)--La notte delle nomine è lunga, ma non abbastanza. E il braccio di ferro sotto traccia da mesi non si chiude neppure nella giornata che sembrava cruciale. La prima vera sfida dentro l'alleanza di governo sembra risolta da una serrata riunione a Palazzo Chigi tra Giorgia Meloni, Matteo Salvini e Antonio Tajani. Ma superata la mezzanotte, i nomi dei prossimi amministratori delle grandi aziende di Stato, ancora non ci sono.

Certo, il quadro degli amministratori delegati sembra tracciato, scrive il Corriere della Sera. Come da pronostici, Claudio Descalzi è stato confermato all'Eni. Stefano Donnarumma, l'ad di Terna, andrà all'Enel. L'ex ministro Roberto Cingolani guiderà Leonardo, il gigante della difesa e dell'aerospaziale, mentre Matteo Del Fante rimarrà al vertice delle Poste italiane. Se il quadro risultasse confermato - dovrebbe esserlo oggi - Giorgia Meloni avrebbe mantenuto la promessa di una donna come amministratrice delegata di una grande azienda pubblica: Giuseppina Di Foggia, già manager di Alcatel e poi Nokia, guiderà Terna, la società delle reti elettriche. A una prima occhiata, il segno più vistoso è quello della continuità rispetto al passato, che poi è proprio quello che la Lega avrebbe voluto evitare.

Ma il ministro delle Imprese e del Made in Italy, Adolfo Urso, la vede in modo diverso e lo dice a Bruno Vespa: «Quello che credo sia importante, che credo si sia capito anche dalle prime nomine fatte, è che per noi conta la competenza e non l'appartenenza». Non conta, insomma, che qualcuno dei designati sia stato in passato vicino, per esempio, al Movimento 5 Stelle: «Conta - prosegue Urso - la capacità di gestire un'impresa perché il governo Meloni, il nostro Paese, si misura nella sua capacità oggi di cogliere l'occasione del Pnrr e di rispondere agli choc prima della pandemia e poi dell'energia».

Il malumore della Lega per un pacchetto di amministratori su cui la presidente del Consiglio ha fatto sentire il suo ruolo fino in fondo era trapelato in mattinata anche dalle parole del capogruppo leghista alla Camera, Riccardo Molinari. Prima era stato prudente: «La scelta dei vertici delle società di Stato quotate è una partita ristretta tra i leader, quindi la sta seguendo direttamente il nostro segretario Salvini con Giorgia Meloni e Antonio Tajani». Poi, però, Molinari sbotta: «C'è il massimo riserbo sulle scelte, ma è chiaro che sarebbe bizzarro che fosse un solo partito ad indicare i nomi a discapito degli altri». Un riferimento al fatto urticante che tra gli ad non ci siano amministratori vicini alla Lega. Matteo Salvini aveva però tagliato corto: «I giornali vendono sempre di meno perché raccontano cose spesso fantasiose». Nessun dissidio, dunque, con la premier. Almeno, non dichiarato. «Ieri ho sentito più volte Giorgia, ieri l'altro pure, oggi ci vediamo in Consiglio dei ministri e la chiuderemo in totale serenità».

Se a tarda sera l'indicazione degli amministratori delegati pareva cosa fatta, il quadro delle presidenze era assai meno chiaro. Per esempio, l'oggi presidente del Milan Paolo Scaroni - sul cui nome insisteva Silvio Berlusconi - pare il candidato più probabile per l'Enel. Mentre all'Eni - che secondo il totonomine spetterebbe alla Lega - potrebbe arrivare il vicepresidente operativo di Italo, Flavio Cattaneo. A Leonardo, insieme a Eni l'azienda più strategicamente rilevante, il comandante della Guardia di Finanza Giuseppe Zafarana (vicino alla lega) potrebbe succedere a Luciano Carta, destinato forse alle Poste. Ma, appunto, quella partita che da mesi rappresenta un basso continuo rispetto all'attività di governo a ieri notte non poteva ancora dirsi ufficialmente conclusa.

red


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April 12, 2023 04:15 ET (08:15 GMT)