ROMA (MF-DJ)--In Turchia è il momento della corsa contro il tempo, della coesione nazionale, delle immagini di migliaia di civili che, a mani nude e con temperature gelide hanno aiutato la Protezione Civile e la Mezzaluna Rossa a scavare e a prestare i primi soccorsi. Scene che hanno fatto il giro del mondo e che hanno commosso migliaia di persone, dove però non si può fare a meno di notare una vistosa mancanza. Il presidente turco, Recep Tayyip Erdogan, solitamente un animale da palcoscenico sempre pronto ad alimentare il proprio consenso, a quasi 48 ore dalle scosse di lunedì, non è ancora andato nelle zone devastate dal terremoto che ha provocato 5 mila morti, secondo i dati più recenti, e una dichiarazione di stato d'emergenza di tre mesi nelle zone colpite. Un'assenza che pesa come un macigno, data la natura del capo dello Stato e quella del popolo turco, abituato da anni alla sua presenza a intervalli regolari, che sia in campagna elettorale o per inaugurare anche l'infrastruttura apparentemente meno rilevante poco importa. Il popolo turco aspettava Recep Tayyip Erdogan e lui finora non li ha mai delusi.

Lo scrive MF-Milano Finanza, aggiungendo che a quasi 48 ore dalla tragedia, invece, il presidente rimane ad Ankara e si fa sentire e vedere il meno possibile e le popolazioni del sud-est, dove i sismi micidiali hanno colpito nel modo più devastante, non solo ne reclamano la presenza.

Probabilmente il capo dello Stato è l'ultima persona che vorrebbero vedere visitare le loro terre stravolte dalla violenza della natura. Particolare che, a pochi mesi dal voto, per Erdogan è tutto fuorché una bella notizia.

Il sisma ha colpito una zona popolosa, nevralgica, dove il numero uno di Ankara fatica a tenere i consensi, per più motivi. Il primo è che si tratta di una zona curda e alevita. Due minoranze, la prima etnica, la seconda religiosa, che nella storia del paese sono state ripetutamente perseguitate. In secondo luogo, proprio in queste terre, la crescita turca che ha fatto registrare tassi importanti per molti anni, ha fatto sentire i suoi effetti con molti contrasti. Quindi, se zone come Gaziantep e Kahramanmaras sono diventate importanti comparti industriali, dall'altra la popolazione si è arricchita in modo disomogeneo e molto spesso secondo logiche di appartenenza a circoli religiosi e confraternite più o meno nelle grazie di Erdogan.

C'è poi un terzo motivo per il quale il presidente evita di farsi vedere da quelle parti. Le zone del sud-est turco sono quelle che più hanno risentito del massiccio afflusso di rifugiati siriani durante gli oltre dieci anni di guerra civile. Se in una prima fase, la Turchia ha posto grande enfasi su questo sforzo umanitario, nella speranza che il presidente americano di allora, Barack Obama, muovesse guerra a Bashar al-Assad, oggi le cose sono molto cambiate. L'intervento occidentale non c'è stato. Gli americani si sono parzialmente ritirati ed Erdogan, a causa della sua alleanza di convenienza con la Russia, è stato costretto ad accettare che il numero uno di Damasco rimanesse al potere.

Purtroppo, però, gli oltre tre milioni di rifugiati dalla Siria sono rimasti sul suolo turco e proprio ora che Ankara aveva iniziato a organizzare rimpatri forzati di decine di migliaia di persone è arrivato il terremoto più rovinoso dell'ultimo secolo a bloccare i suoi piani. Una presenza che, da gradita e favorita, è diventata un peso a livello di costi e un problema a livello di sicurezza a causa dei tanti siriani che non sono riusciti a integrarsi e che vivono in condizioni di estrema povertà e di espedienti.

In tutto questo, secondo la Costituzione, entro il 18 giugno si deve votare. Il presidente cerca la terza rielezione di fila e non può rimandare la consultazione elettorale. Anzi, prima delle manifestazioni sismiche, voleva addirittura anticipare il voto al 14 maggio, per sfruttare al meglio il prestigio in patria acquisito con il tentativo di mediazione fra Ucraina e Russia e le condizioni poste alla Nato per non mettere il veto sull'ingresso di Svezia e Finlandia. In poche ore la situazione gli si è ritorta contro, con un cataclisma che ha fatto affiorare tutte le fragilità del paese, a partire dalle case costruite senza rispettare i criteri antisismici, alla ricchezza distribuita in modo troppo disomogeneo e in un momento economico quando mai delicato.

L'inflazione a gennaio è scesa al 57% su base annuale ma rimane fuori controllo, così come la valuta nazionale, sempre molto debole nei confronti di dollaro ed euro. Erdogan è costretto a una campagna elettorale dove non può utilizzare il suo cavallo di battaglia principale, ossia il benessere generale. In una condizione del genere, con il sud-est della Turchia a maggioranza curda in ginocchio, e regioni della Siria dove i curdi sono stati fra i primi colpiti dal sisma, non può nemmeno usare la diffidenza nei confronti della minoranza come collante nazionale.

red/pev


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February 08, 2023 02:53 ET (07:53 GMT)